L’illusione del movimento: una storia dell’1,1 percento
Immagina di trovarti su un binario ferroviario, osservando un treno che sembra muoversi, per poi accorgerti che è la tua stessa piattaforma a scivolare lentamente in avanti, spinta non da motori, ma da bidelli, infermiere e impiegati d’ufficio. Benvenuto nell’economia olandese del 2024.
Siamo “cresciuti” dell’1,1 percento. O almeno così dicono i numeri. Ma dietro quel garbato applauso al progresso si nasconde un’altra verità. Togli la spesa pubblica, gli stipendi dei dipendenti statali, l’espansione della sanità, i sussidi per l’infanzia e le varie indennità, e ciò che resta è il fantasma di un’economia: uno 0,2 percento di crescita generata dal settore privato, e anche quella appena percettibile. Esportazioni, investimenti, consumi delle famiglie? Letargici. Il corpo si è mosso perché la colonna vertebrale — lo Stato — ha avuto uno spasmo. Non perché le gambe — il mercato — abbiano camminato.
Il vero motore: la spesa pubblica come supporto vitale
Non perdiamoci in percentuali sterili. Ecco l’anatomia di quanto accaduto:
- 0,9 punti percentuali di crescita vengono dal governo.
- Solo 0,2 punti da tutti gli altri messi insieme.
- In parole povere: se lo Stato fosse rimasto fermo, l’economia olandese si sarebbe appiattita.
E non è una novità. Nel 2023, quando l’economia generale è diminuita del -0,6 percento, la spesa pubblica è comunque cresciuta di +0,7 punti, attutendo una recessione più profonda. Non è una finezza keynesiana. È terapia intensiva.
Ancora peggio, il 2024 ha segnato la quota più alta di spesa pubblica sul PIL dal 2012: 25,8 percento. Per fare un confronto: solo Svezia e Finlandia ci superano nell’UE. Germania? 22 percento. Regno Unito? 21 percento. I Paesi Bassi? Marciamo fieramente verso un capitalismo di Stato, con un’alzata di spalle calvinista.
Dove finisce il denaro?
Due sono i principali condotti che alimentano questo sistema:
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Produzione propria (+3,9%)
Stipendi dei dipendenti pubblici, spese municipali, costi operativi. In sostanza: lo Stato che fa crescere se stesso. Più personale. Più strutture. Più costi. -
Prestazioni sociali in natura (+3,2%)
Pensiamo a: sussidi per l’affitto, trasporto pubblico per studenti, contributi sull’assicurazione sanitaria, assistenza a lungo termine. Necessari? Spesso. Efficienti? Raramente misurati. Strategici? Domanda aperta.
Chiariamo subito: non sono elemosine. Sono acquisti che lo Stato fa al posto tuo. È un ibrido tra welfare e mercato, dove lo Stato compra dal mercato per mantenere la pace sociale. Una sorta di anestetico economico.
Cosa c’è sotto: il perché dietro i numeri
La crescita senza produttività non è crescita. È redistribuzione travestita da resilienza.
- Perché i consumi delle famiglie ristagnano? Perché l’inflazione ha eroso il reddito disponibile, e il mercato immobiliare ha paralizzato le giovani famiglie.
- Perché le esportazioni sono fiacche? Perché il mondo si sta disaccoppiando, e la competitività olandese, tanto legata alla logistica e ai paradisi fiscali, sta perdendo terreno.
- Perché gli investimenti sono minimi? Perché la regolamentazione soffoca il rischio, e l’incertezza sulle transizioni green e digitali frena l’allocazione del capitale.
In breve: non stiamo correndo più veloce. Stiamo venendo trasportati, proprio dalle istituzioni che un tempo avevamo incaricato di arbitrare la partita, non di giocarci dentro.
È sostenibile tutto ciò?
Sì, se credi nella crescita infinita dello Stato.
No, se pensi che i governi debbano stabilizzare i mercati, non sostituirli.
Il rischio più profondo non è fiscale, ma psicologico: stiamo normalizzando un’economia in cui la spesa pubblica non è la risposta anticiclica, ma il muscolo primario. Non è strategia. È dipendenza. E le dipendenze, prima o poi, si pagano.
Quel che va detto
Non è un appello a tagliare la spesa pubblica. È un appello a ricordare a cosa serve.
Lo Stato dovrebbe assicurare contro i rischi, costruire infrastrutture di lungo termine, proteggere i vulnerabili. Ma quando diventa l’unica locomotiva, il settore privato si fa passivo, le aspettative si irrigidiscono, e l’innovazione si consuma.
Serve un reset. Non di bilancio, ma di mentalità. La crescita va conquistata, non sovvenzionata. Altrimenti, non stiamo costruendo un’economia, ma curando una simulazione.
E le simulazioni forse rassicurano la classe politica. Ma non nutrono l’ambizione, non premiano il merito e non ispirano la prossima generazione di costruttori.
Co-Creator of Xtroverso | Head of Global GRC @ Zentriq
Paolo Maria Pavan is the structural mind behind Xtroverso, blending compliance acumen with entrepreneurial foresight. He observes markets not as a trader, but as a reader of patterns, tracking behaviors, risks, and distortions to guide ethical transformation. His work challenges conventions and reframes governance as a force for clarity, trust, and evolution.