La Storia di Superficie: Numeri che Rassicurano
Giugno 2025: nei Paesi Bassi sono state dichiarate fallite 313 aziende. Un calo del 18% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Il tasso di fallimento si attesta a 8,5 ogni 100.000 imprese, un netto miglioramento rispetto al 10,6 di giugno 2024.
A prima vista, sembra la fine di una tempesta, forse perfino una ripresa. Il settore dell’ospitalità, da sempre il “canarino nella miniera di carbone”, mostra 23,5 fallimenti ogni 100.000 aziende, contro i 39,7 dell’anno scorso.
Ma non confondiamo il silenzio con la buona musica.
Il Mormorio Discreto: Dove sono i Dati di Occupazione?
Ecco il paradosso che non osiamo pronunciare ad alta voce: se falliscono meno aziende… dove sono i pagamenti? Dove sono i fornitori rimasti senza incasso? I proprietari immobiliari con fatture inevase?
Se 313 fallimenti sono stati dichiarati, quanti non lo sono stati, ma avrebbero dovuto esserlo?
I dati non lo dicono. Non lo fanno mai. Perché il fallimento è una dichiarazione, ma l’insolvenza è spesso una rappresentazione.
E in quella rappresentazione, molte imprese si sono trasformate in quelle che io chiamo “aziende morte che camminano”: continuano (a fatica) a pagare stipendi, mantengono (con affitti rinviati) spazi ufficio, consegnano (con margini erosi) qualche prodotto, ma sono strutturalmente incapaci di onorare gli impegni. Non crollano. Marciscono a rallentatore.
L’Accordo Silenzioso: Il Salario come Stabilizzatore Sociale?
Guardiamola da un’altra prospettiva.
E se questa diminuzione dei fallimenti non fosse segno di ripresa, ma un meccanismo di contenimento strategico?
Pensiamoci: mantenere in vita un’azienda, anche solo in apparenza, consente di:
- Pagare (almeno in parte) gli stipendi,
- Mantenere stabile il numero dei disoccupati,
- Contenere i costi di supporto pubblico,
- Evitare un panico diffuso nel mercato.
In un’economia post-COVID ancora stordita dagli stimoli, queste imprese quasi-morte sono come ponti sospesi tra cicli economici. Instabili, sovraccarichi, ma funzionali.
E così arriviamo a un paradosso morale: forse queste aziende non vengono “salvate”, ma tollerate. Perché il loro crollo innescherebbe fallimenti a catena, a casa, nel welfare, nella fiducia occupazionale.
La Reazione Mancante: Dove Sono le Vittime Collaterali?
Ogni fallimento dovrebbe lasciare delle impronte:
- Un fornitore non pagato,
- Un cliente abbandonato,
- Uno staff riallocato (o scartato),
- Un creditore lasciato senza garanzie.
Eppure non troviamo dati su questi effetti a valle. È come contare gli alberi caduti ignorando la frana.
Ed è qui che dovrebbe intervenire la governance: non per punire il fallimento, ma per mappare l’esposizione. Serve visibilità su:
- Quali fornitori non pagati sono a rischio di contagio,
- Quali settori sono più interdipendenti,
- Quante aziende sopravvivono grazie alla “liquidità della speranza” e non a riserve reali.
Il cliente insolvente di oggi è il partner insolvente di domani. È una catena. E ogni anello debole è un segnale d’allarme, se vogliamo vederlo.
Nota Finale: Chiarezza non è Cinismo
Sia chiaro: un tasso di fallimento più basso non è una cattiva notizia. Ma dare per scontato che sia una buona, senza capire i meccanismi sottostanti, è un errore di governance.
Ecco cosa credo:
- Alcune aziende devono fallire, perché rimandare la caduta diffonde solo fragilità.
- Altre devono essere salvate, perché la loro caduta sarebbe sistemica, non solo individuale.
- E tutte devono essere mappate, perché il rischio non è solo la morte, ma il decadimento.
Se crediamo davvero nel merito imprenditoriale, nell’equità di mercato e nella resilienza, non possiamo lasciarci ingannare dai titoli rassicuranti.
Dobbiamo chiederci:
“Quante di queste aziende sono vive… e quante semplicemente non sono ancora sepolte?”
Solo allora potremo scrivere politiche, non epitaffi.
Co-Creator of Xtroverso | Head of Global GRC @ Zentriq
Paolo Maria Pavan è la mente strutturale dietro Xtroverso, che unisce l'acume normativo con la lungimiranza imprenditoriale. Osserva i mercati non come un trader, ma come un lettore di schemi, tracciando comportamenti, rischi e distorsioni per guidare la trasformazione etica. Il suo lavoro sfida le convenzioni e riformula la governance come una forza per la chiarezza, la fiducia e l'evoluzione.