Paolo, dici spesso che le risorse umane dovrebbero affrontare i colloqui come se stessero incontrando il loro stesso figlio, e non solo un candidato, e che non "abbandoneresti" tuo figlio solo perché ha fallito un esame. Potresti spiegare meglio cosa intendi?
Esattamente! Hai colto il cuore di quello che intendo. Quando dico provocatoriamente che le risorse umane dovrebbero sedersi di fronte al loro "figlio" durante un colloquio, e non solo davanti a un candidato, è perché credo che le aziende debbano ripensare radicalmente il modo in cui affrontano l’assunzione e lo sviluppo del talento. Il sistema attuale tratta i candidati come se stessero facendo un’audizione per un ruolo in una commedia: se fanno una buona performance, ottengono il lavoro; altrimenti, sono fuori. È transazionale, superficiale e, francamente, obsoleto.
Ma se le risorse umane si approcciassero a quella persona come se si trovassero davanti a un futuro membro della famiglia, o nella mia metafora, al loro "figlio", tutto cambia. Improvvisamente, non si tratta solo di cosa quella persona può offrire oggi, ma del suo potenziale—cosa potrebbe diventare, cosa potrebbe contribuire a lungo termine se messa nell’ambiente giusto e con il giusto supporto. Si tratta di coltivare una relazione, non solo di riempire una posizione vacante.
E sì, quando dico che non darei in adozione mio figlio solo perché ha fallito un esame, è per scuotere le persone dall'idea ristretta che un fallimento definisca il valore di una persona. Pensaci: nella vita, i genitori non abbandonano i loro figli per un errore, perché non hanno superato un test o perché hanno inciampato a un certo punto. I genitori capiscono che la crescita è un processo, che il fallimento è parte dell’apprendimento e che il supporto e la guida sono essenziali affinché un bambino raggiunga il suo pieno potenziale.
Ora applica questo al luogo di lavoro. Immagina se le aziende trattassero i dipendenti con la stessa mentalità—che il fallimento non sia una ragione per scartare qualcuno, ma un'opportunità per investire maggiormente nella loro crescita. Una persona potrebbe non essere il "fit perfetto" a prima vista, potrebbe inciampare durante un colloquio o fallire nel suo primo ruolo—ma questo non significa che non abbia il potenziale per prosperare con la giusta mentorship, formazione e supporto. Troppe aziende perdono talenti incredibili perché si concentrano sui risultati a breve termine, invece di vedere le possibilità a lungo termine.
Quando promuovo questa idea, è per sfidare il modo in cui le aziende pensano al capitale umano. Se vediamo i dipendenti come risorse temporanee, ci perdiamo la visione più ampia. Ma se li consideriamo come "famiglia", come individui che possono crescere all'interno dell'organizzazione, contribuire in modi diversi, evolversi e aiutare a portare avanti il lascito dell'azienda, allora iniziamo a pensare come genitori. E i genitori non scartano i loro figli perché incontrano un ostacolo lungo il cammino.
Questo è il futuro delle risorse umane che sto promuovendo. Un futuro in cui il colloquio non è un processo per eliminare persone, ma per trovare coloro che, come una famiglia, cresceranno, impareranno, falliranno, avranno successo e, infine, trasmetteranno quel patrimonio alla generazione successiva. Le aziende devono smettere di pensare ai candidati come lavoratori temporanei e iniziare a vederli come parte di qualcosa di più grande, qualcosa su cui vale la pena investire a lungo termine.
Si tratta di cambiare la narrazione. Si tratta di vedere le persone non come un rischio da gestire, ma come un potenziale da coltivare. E sì, è provocatorio, ma questo è il punto—se non iniziamo a pensare in questo modo, perpetueremo solo un sistema rotto che valorizza i risultati immediati rispetto all'impatto duraturo.